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Forse l’ho già detto, ma chi immagina i miei matri-week end all’interno di un’allegra e caotica famiglia allargata, sbaglia di grosso.
Nei miei matri-week end regnano soprattutto silenzi, frigni e capricci, papà nervosi e urlanti.
Infatti, i miei matri-week end, si sono piuttosto diradati.
Perché fatico a sopportare i parenti toccati in sorte, figuriamoci quelli acquisiti.
Il figliastro minore ha 11 anni e mezzo, è alto 1 metro e 70, ha i primi brufoli adolescenziali e la sua voce spazia tra quella di Linda Blair posseduta e quella di Farinelli.
Ma è un bambino.
Detesta la verdura e i tempi necessari per terminare un pasto non sono accettabili; la sua lentezza è esasperante.
Il padre – lo debbo dire – ha scarse attitudini psicologiche, e le tecniche usate per accelerare i tempi e per imporgli di mangiare l’insalata producono, solitamente, le seguenti reazioni:
a) lacrime e singhiozzi
b) tempi raddoppiati
c) musi lunghi per tutto il fine settimana
La mia opinione in proposito si riassume nei seguenti punti:
- è ovvio che l’odio per la verdura non può essere vissuto con cotanto dramma. Evidentemente, ma solo per me, c’è dietro un disagio diverso, legato a casa, mamma, abitudini. E’ doveroso capirlo, e dargli una mano.
- anche io non mangiavo la verdura, ora non potrei vivere senza. Conosco molti adulti che si nutrono solo di patate fritte e il loro stomaco sta meglio del mio.
- se proprio si vuole imporre la verdura a ‘sto ragazzino, magari proviamo ad occultargliela, non costringiamolo a mangiare insalata se gli fa schifo.
- se hai deciso che deve mangiare proprio l’insalata, lascia che sia sua madre a farsi odiare. Il ragazzo mangia con noi due volte al mese e gradirei che fosse sereno quando lo fa.
- arrabbiarsi per tutto equivale a non arrabbiarsi per niente. Per evitare di alzarsi tutti da tavola alle 4 del pomeriggio, basta imporre una regola, senza urlare.
Decidere un termine ragionevole per finire il piatto.
Passato questo termine, il pasto è finito.
Se ha fame dopo un’ora, si finisce quello che ha lasciato nel piatto.
Semplice.
Bastava insegnarglielo nel 2002/2003.
Ma siamo ancora in tempo.
I miei matri-week end cominciano spesso con me che entro in macchina e saluto, e nessuno mi risponde.
Io non dico nulla, non rimprovero, non sollecito.
Percorriamo in silenzio la strada che porta a casa dei nonni.
Nella disposizione dei posti a casa dei nonni, il minore è seduto a capotavola, suo cugino alla sua sinistra, io alla sua destra.
In quei momenti di pura follia, dove il livello di decibel solitamente sfiora quelli di un concerto dei Muse, miracolosamente io e lui ci ritagliamo uno spazio sottovoce di scherzi e chiacchiere e racconti.
Nessuno ha modo di forzarlo a mangiare velocemente.
Infatti finisce sempre, non dico per primo, ma in tempi umani.
E poi corre a giocare con i cugini.
Vorrà pur dire qualcosa, no?