Storie di tutte le cose visibili e invisibili



giovedì 20 novembre 2014

Voglio andare a casa. Ma la casa dov'è?

A chi non avesse seguito le mie mirabolanti avventure immobiliari, suggerisco di leggere qui, qui e qui.

Eravamo rimasti che, con la piena consapevolezza di avere zero Euri nel conto corrente, ma con la complicità di una banca coraggiosa e di un TFR accumulato di 22 anni, in un momento di delirante onnipotenza ho comprato un appartamento.

Così.
Del tipo, che sei sposata e vuoi divorziare perché hai voglia di stare un po' da sola, e due giorni prima di andare dall'avvocato incontri per caso un altro uomo e vai a vivere con lui.

Comunque, il microappartamento reo di avere - a suo tempo - rubato il mio cuore - è un attico sul tetto, con un enorme terrazzo con vista sulle montagne.
In un paese fuori dal mio mondo dove, obiettivamente, non ti vien tanta voglia di andarci a vivere.

L'appartamento non è ancora finito però: i lavori necessitavano di una decina di giorni, e mo' son passati tre mesi.
Nel frattempo io ho dovuto lasciare la mia vecchia casa in affitto (rovinandomi consapevolmente il terzo Agosto di fila) e parcheggiato circa 80 scatoloni in ogni dove.
Dormo un po' nella mia vecchia cameretta a casa dei miei (soprannominata "Il collegio") e un po' condividendo il talamo con il mio legittimo fidanzato.

La mia presenza rompe le balle ai miei genitori, perchè sono arrivata come un ciclone a riempire ogni spazio della casa, occupare il bagno, attaccare il riscaldamento a manetta, riempire il frigo con latte di kamut e petti di pollo.
Però quando prendo il trolley e vado dal mio fidanzato, mi chiamano con voce tremula per chiedermi quando torno a casa.

Il mio fidanzato accetta rassegnato le mie invasioni di armadio, e credo che la sua colf voglia dare le dimissioni perchè il mio passaggio si palesa che neanche l'uragano Katrina.

Io mi sveglio la mattina che non mi ricordo dove sono, non so dove ho messo le mutande e, soprattutto, non ho mai i vestiti o le scarpe che vorrei mettere, perchè sono a lavare in qualche lavatrice che non ricordo, oppure in un altro armadio che non è lì.
Ah, dimenticavo.
La casa dei miei genitori inghiotte i calzini.

Mia madre è una donna atipica.
Detesta le pulizie di casa, è disordinata e pasticciona, e ha un talento inimitabile per cucinare poco e malissimo.
A casa mia si pranza alle 12 e si cena alle 19.
I miei, come quasi tutti gli anziani del mondo, sono degli accumulatori seriali. Se chiamassi Real Time andremmo sicuramente in prima serata.
Alle 21:00 di sera, dopo l'immancabile appuntamento con Un posto al Sole, mia madre prende possesso del telecomando e mio padre del divano.
E io mi chiudo nella mia (freddissima) cameretta a leggere, ma dopo un po' mi viene sonno  e quindi la mattina mi sveglio tipo alle 5, con il naso ghiacciato e il mal di gola e una fame da lupo.

Il mio fidanzato invece vive in un ordine maniacale, che pure i pacchi di pasta in dispensa sono sistemati con la bolla e la squadra.
Per l'80% del tempo ha in mano uno sgrassatore o l'aspirapolvere.


Io mi barcameno in questo limbo complicato, faticando molto e sopportando poco, nell'attesa che si compia la beata speranza e io possa prendere possesso della mia nuova casa.
Che siccome i lavori sono sempre fermi lì, e sembra ancora un cantiere, ogni volta che lo vedo mi piace sempre meno. I vicini sono noiosi, il bar sotto casa ha le mosche sopra le brioche, nel parcheggio esterno c'è un pene gigante disegnato per terra, i nomi nei campanelli sono scritti tutti con caratteri diversi .. eccetera.

Nel frattempo il budget per l'arredamento, c'era da aspettarselo, continua a salire, nonostante (o meglio, a causa) i metri quadri da riempire siano solo 44.

Io, per consolarmi, come sempre compro mutande.
Dovrei dedicarmi ai calzini, che non me ne è rimasto manco uno di uguale all'altro.



mercoledì 19 novembre 2014

Mi dissocial, ovvero, i blog marchetta non sono più blog. Punto

Ecco perchè sono sparita dal web-mondo.
Ho cominciato da Facebook, cancellando dai miei contatti tutti quelli che scrivono qualcosa che non condivido. 
Alla fine ero rimasta tipo con 10 amici. E probabilmente l'unico motivo per cui sono resistiti è che non scrivono mai niente e non postano foto di gatti nel bidet (tutti i gatti vanno a dormire nel bidet, non è che il vostro sia eccezionale, sappiatelo).
Poi ci sono tornata - su Facebook - perchè al momento pare sia l'unico modo per mettermi in contatto con il falegname che mi sta facendo l'armadio su misura.

Poi ho iniziato ad annoiarmi nella lettura dei blog, e l'ho un po' detto qui.
Vi dico come la penso io: tenere un blog non è un lavoro.
Lo può diventare, a quanto pare, e me ne farò una ragione, ma personalmente i blogger che diventano "influencer" (che orrore ... ma pensateci, è agghiacciante ...) obiettivamente non mi interessano più.
A mio modesto parere, un  blog è divertente finchè - per esempio - una perfetta sconosciuta si fa fotografare davanti all'armadio Ikea della sua cameretta, prima di andare a scuola o in ufficio, e ti viene da pensare "ma guarda che stilosa, ora che ci penso ho una camicia uguale uguale che non metto mai, se la interpreto così e cosà magari riesco a sfruttarla".
Se poi riesce a traformarsi in un brand, a farci un lavoro, a trasferirsi a Los Angeles, tanto di cappello, è puro e meritato talento e c'è tanto lavoro dietro. Ma, personalmente, non mi diverte più.
Perchè se devo guardare una bella ragazza che fa una vita super glamour e per andare al supermercato si veste come se fosse alla Fashioni Week (probabilmente perchè paga qualcuno che le faccia la spesa), indossando dei vestiti che non si è manco pagata, mi compro Vogue e lo sfoglio dal parrucchiere.

Capitolo a parte lo dedicherei alle mamme blogger.
Molte di loro sono diventate note, hanno pubblicato libri e hanno trasformato una passione divertente in lavoro. Alcune (alcune??) agevolate da una posizione vicina al mondo dell'editoria, altre per puro caso. Sì sì certo...
Comunque.

Alcune di loro hanno deciso di ospitare contenuti pubblicitari nel proprio blog.
Spesso si tratta di redazionali nei quali si parla di un determinato prodotto, citando in marchio.
Sono scelte, condivisibili o meno, ciascuno a casa sua pubblica quello che vuole.
Non escludo che, se mi capitasse, magari lo farei anche io.
Ma trovo che, a prescindere da questi post specifici, quando un blog arriva a subire questa trasformazione perda per strada l'intenzione, e quindi si modifichi anche la scrittura, il linguaggio, le storie da raccontare.

Tutta questa premessa perchè stamattina ho letto su Facebook una spinosa autodifesa di una nota blogger, che difende con toni piccati la sua scelta di inserire contenuti pubblicitari nel proprio blog.
Posso capire il tono di stizza, perchè spesso leggo commenti di una crudeltà che rasenta la follia.

La motivazione principale sollevata dalla blogger è che "da svariati anni leggete gratuitamente i contenuti che scrivo".
Allora, sarò sbagliata io, ma un blog raramente ha la profondità di un editoriale di Mario Calabresi.
Fai quello che ti pare e difenditi pure dagli attacchi delle invasate, peccarità, ma francamente mi sembra inopportuno accusare i tuoi follower di usufruire da anni di un servizio gratuito, manco fossi un misto tra Vanity Fair e il sito della USSL.