Storie di tutte le cose visibili e invisibili



lunedì 19 marzo 2012

La goccia e la roccia

Longing for summer ...
Ero andata a cena con delle amiche.
Non ricordo a che punto della nostra storia eravamo, ma stavamo insieme già da un bel po’.
C’erano già state le sue frequenti fughe, il suo telefono spento per giorni, le sue scenate, i ripensamenti. C’ero già stata io incollata al suo campanello, a guardarlo dietro le finestre, e lui che non apriva. C’erano stati litigi e urla al telefono, dolore e dolore e ancora dolore.

Ricordo che era inverno, perché avevo il piumino bianco, quello con il pelo in mongolia, che ora porta mia madre.
L’accordo era che alla fine della cena sarei andata a dormire da lui, mi aveva dato una copia delle chiavi. Mi sono trovata con le amiche, eravamo in 6, e non siamo andate a cena in un locale alla moda, ma in una semplice trattoria a pochi chilometri da casa. Serata tranquilla, molte chiacchiere.
Il cellulare non prendeva, e siccome avevo la batteria scarica, l’ho spento per non consumarla inutilmente.
Ci siamo salutate verso l’una di notte, sono andata verso casa sua, canticchiando qualche canzone stupida.

Ricordo come se fosse ieri il rumore della chiave nella toppa, il mio primo passo dentro casa, lo sguardo verso destra, la camera da letto, lui che schizzava in piedi.
Ricordo il mio stupore, di fronte alla sua ira. Ricordo le sue accuse surreali, e io che sorridevo perché pensavo scherzasse.

Il telefono spento – a quanto pare – era prova di colpevolezza certa.
Il mio piumino bianco con il pelo in mongolia era persino stato visto camminare misteriosamente nel cortile qualche ora prima.
Ricordo di essere uscita in silenzio da quell’appartamento, dopo essermi sentita dire “esci da qui e lascia le mie chiavi sul tavolo”.
Confusa, incredula.
Mi sono seduta sul primo gradino, senza capire.
Sono rientrata dentro quell’appartamento, spinta da quel disperato desiderio di chiarire, di risolvere, subito.

Ed è stato allora.
Che mi si è avventato contro come una furia.
Mi ha spinta sul letto, con violenza.
Ricordo le sue mani strette intorno al mio collo, la bocca piena di schiuma a pochi centimetri da me.
Non ho neanche avuto paura. Ed è questo pensiero, che ancora adesso, mi sconvolge.
E ci sono rimasta insieme ancora degli anni, prima di trovare la forza di dire basta.
Perché quando qualcuno ti tratta così, purtroppo, c’è qualcosa di minuscolo e malato dentro di te che ti convince che è proprio colpa tua.

6 commenti:

  1. E' capitata anche a me la stessa cosa... ma avendone passate davvero troppe, alla seconda volta che mi si avventava addosso ho deciso di divorziare.
    Per qualsiasi fraintendimento o errore, nessuna donna merita di essere trattata così.

    p.s. bel blog, ti seguo da un po' ma non avevo mai commentato prima :)

    RispondiElimina
  2. cazzo.
    grazie.
    scusa per la parolaccia.
    grazie davvero, mi hai dato un pugno nello stomaco ma va bene così.
    grazie.
    giuppy

    RispondiElimina
  3. Io sono rimasta senza parole... non so cosa dire e soprattutto non credo sia giusto dire!!! Non ho questo tipo di esperienza e solo chi ci è passato sa cosa vuol dire veramente!
    Un sorriso
    Anna

    RispondiElimina
  4. Ragazze, grazie per le vostre parole. In realtà è stato meno traumatico di quanto sembra, nel senso che nel mio caso le violenze emotive subite per 4 anni sono state ben peggiori di quell'unico episodio.
    Il messaggio che volevo trasmettere è che è meglio sole, che umiliate. Sempre.

    RispondiElimina
  5. messaggio ricevuto e applicato in pieno, nel mio caso :)
    E' strano però, quanto noi donne sappiamo essere tanto potenti ma anche così banalmente fragili...

    RispondiElimina
  6. Ciao Tessy.
    Questo post è così duro, così intenso , così purtroppo vero.
    Sei stata molto brava a riuscire a scriverne.
    Chapeau.

    Susibita

    RispondiElimina